La dimostrazione della costanza della velocità della luce può essere ottenuta partendo dalla fisica classica con una Sequenza di dimostrazioni relativistiche.
Il testo seguente è tratto dal tredicesimo capitolo del libro “Newton e la Relatività”.
Due tipi diversi di costanza
La velocità della luce è presente come costante c (nel vuoto 299792458 m/s) in molte formule fisiche. Una di queste formule è quella della quantità di moto p = E/c della radiazione luminosa.
Quando la sorgente luminosa è in quiete, la velocità della luce è costante per ogni frequenza, dalle onde radio alla radiazione gamma.
Una costanza per tutte le frequenze non viola le leggi della fisica classica.
In questo articolo non ci riferiamo però a questo concetto di costanza, ma al fatto che la velocità della luce rimane costante anche con una sorgente luminosa in movimento e tra tutti i sistemi inerziali, come dimostra l’esperimento di Michelson e Morley.
Poiché questa costanza si verifica per ogni velocità relativa tra emittente e ricettore, essa non è più conforme alla trasformazione di Galilei ed è quindi in conflitto con un principio fondamentale della meccanica classica.
Diretta conseguenza della costanza della velocità della luce per tutti i sistemi di riferimento è la relatività della simultaneità (vedi animazione).
Ne consegue che in ogni sistema inerziale trascorre un tempo proprio in dipendenza della velocità.
Questo implica l’esclusione dell’esistenza di un tempo assoluto.
Un postulato in conflitto con la meccanica classica
Quando nel 1887 Michelson e Morley resero noti i risultati dei loro esperimenti, gli scienziati di tutto il mondo si trovarono di fronte a una grande sorpresa: le osservazioni sperimentali si trovavano in conflitto con i principi della meccanica.
Infatti, l’esperimento con l’interferometro di Michelson aveva dimostrato che la velocità della luce è sempre costante nel vuoto, indipendentemente dallo stato di quiete o di moto della sorgente luminosa.
Di qui fu riconosciuta la necessità di conferire al fenomeno naturale dell’invarianza della velocità della luce l’attributo di postulato fondamentale delle leggi della fisica.
D’altronde si ritenne che questo postulato non fosse compatibile con le leggi newtoniane.
A questa convinzione seguì quindi la rinuncia di intraprendere il tentativo di una spiegazione del fenomeno della costanza della velocità della luce con la meccanica classica.
Gli scienziati, piuttosto, si convinsero della necessità di dover elaborare una nuova teoria fisica.
La nascita della teoria della relatività è quindi strettamente legata alla supposta incompatibilità della Meccanica newtoniana con il fenomeno naturale della costanza della velocità della luce.
Dalla fisica classica alla costanza della velocità della luce
Noi però, sulla base dei risultati raggiunti in questa trattazione (vedi qui), possediamo i presupposti per dimostrare la costanza della velocità della luce per qualunque velocità relativa fra sorgente e osservatore, per via puramente teorica.
Infatti, possiamo dimostrare la costanza della velocità della luce con la relazione della composizione relativistica delle velocità.
Prima però riassumiamo brevemente a ritroso la sequenza di dimostrazioni che ha condotto alla derivazione di questo teorema:
- L’espressione \[ v_{12} = \frac{v_1 + v_2}{1 + \frac{v_1v_2}{c^2}} \quad (10.6)\] della composizione delle velocità è stata ricavata applicando i principi di conservazione dell’energia e della quantità di moto all’urto centrale di due particelle. Per il bilancio energetico sono state utilizzate le energie totali delle particelle, vale a dire la somma delle loro energie cinetiche e interne a riposo.
- La formula dell’energia totale di una particella \[ E = \frac{m_0c^2}{\sqrt{1-\frac{v^{2}}{c^{2}}}}\quad\quad (6.5) \] è stata ricavata nel sesto capitolo con l’utilizzo della relazione \[ m = \frac{m_0}{\sqrt{1-\frac{v^{2}}{c^{2}}}} \quad\quad\quad(5.4)\] che esprime la dipendenza dell’inerzia dalla velocità.
- Nel quinto capitolo abbiamo d’altra parte dimostrato che la relazione (5.4) è a sua volta una diretta conseguenza del Secondo Principio della Dinamica e del principio di equivalenza fra energia e massa E = mc².
- Il principio di equivalenza fra energia e massa E = mc² è stato ricavato nei capitoli terzo e quarto con il solo utilizzo della fisica classica.
La conclusione di quest’argomentazione è che la dimostrazione del teorema della composizione delle velocità può essere effettuata partendo dalla fisica classica e senza l’utilizzo del postulato della costanza della velocità della luce.
Una dimostrazione teorica
Il teorema della composizione delle velocità permette quindi di dimostrare teoricamente il principio della costanza della velocità della luce fra tutti i sistemi di riferimento inerziali.
A questo fine consideriamo una sorgente di luce in movimento rispetto a un osservatore. Questi, volendo calcolare la velocità relativa della luce vl potrà utilizzare l’espressione (10.6):
\[ v_{12} = \frac{v_1 + v_2}{1 + \frac{v_1v_2}{c^2}} \quad (10.6)\]Sostituendo al posto di v1 la velocità vs della sorgente luminosa e al posto di v2 la velocità c che viene misurata per la luce emessa da una sorgente in quiete, si ottiene:
\[ v_{l} = \frac{c + v_s}{1 + \frac{cv_s}{c^2}} \]Da questa relazione risulta che vl è uguale a c, per qualsiasi valore della velocità vs della sorgente luminosa.
Ciò significa che la velocità della luce è la stessa per ogni sistema di riferimento inerziale, indipendentemente dalla sua velocità.
Considerando il procedimento completo che è stato utilizzato per giungere a questa dimostrazione, possiamo affermare che:
La costanza della velocità della luce per qualunque velocità relativa fra sorgente emittente e ricettore è dimostrabile per via puramente teorica, vale a dire anche senza l’utilizzo degli esperimenti, ma a conferma di questi ultimi.
La versione dettagliata della dimostrazione è riportata nel tredicesimo capitolo del libro “Newton e la Relatività“.
Con il Relativistic Calculator puoi calcolare l’addizione relativistica di due velocità.
Prosegui sul percorso alternativo delle dimostrazioni relativistiche: Derivazione della contrazione delle lunghezze.
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